mercoledì 28 marzo 2012

Jack è il fagiolo magico

Jack era un fagiolo magico

1.
Jack,
Jack era uno di quei ragazzi che non si possono definire belli, ma aveva un non so che di speciale.
Sarà la forma delle sue mani la luce dei suoi occhi, che avevano visto l'orrore e la sofferenza di molti e molti giorni con Jennifer, sarà solamente invece il suo sorriso da mascalzone.

Camminava per strada in un freddo giorno di dicembre con in mano la sua borsa di pelle che ereditò da suo padre, dove custodiva come delle reliquie le foto di familia il suo certificato di nascita, qualche pacchetto di sigarette vuoto e impallottolato e cosa più importante il passaporto che l'avrebbe portato via da quello schifo che era la sua vita, in quella città di merda.
Il suo piano era nei suoi passi dentro a ogni suo respiro, fuggire, andare vie, non vedere più quelle facce assonnate della mattina di grassi uomini d'affari chiusi nei loro paltò puzzolenti di naftalina, non vedere più il pomeriggio le mamme che spingevano i loro stupidi e colorati passeggini con frignanti bambini semiobesi coccolati dal benessere di quelle familie anche troppo abbienti, un di quelle famiglie nelle quali lui era nato. Si perché jack era nato in una famiglia anche se non si diceva. Una di quelle famiglie dove la mattina c'era profumo di pane in cucina e puzza di pipa la sera. Ma la vita l'aveva portato li, a voler scappare e odiare la sua vita così come si era scritta nel corso degli anni.
Si fermò a guardare come tutte le mattine il campanile della basilica di San Raphael, e controllò, come sempre, che gli omisi sull'orologio si muovessero, con le loro bramine corte e i loro attrezzi da lavoro tutti colorati d'oro. Immaginava le persone che l'avevano costruiti, come si potevano sentire a pitturare dei pupazzi di legno con dell'oro vero, e quanto loro sputavano sangue per ricevere 2 soldi al giorno per quel lavoro pesante e pericoloso. Pensava a come si potevano sentire nel voler accarezzare quel piccolo barattolo di color oro che costava più di 10 loro giornate di sporco lavoro.
Sorrise e si immaginò uno di questi omisi che si versava mezzochilo di mistura colorata nelle tasche e si calava dall'impalcatura contento di aver intascato le sue 10giornate di sporco lavoro, per accorgersi solo a terra che il risultato era una sensazione da cretino e le mutande zuppe di colore.
Rimesse il suo sorriso bra le labbra e torno del suo cupo muso da chi non voleva più ridere.
Si incamminò per corso Marx fra i negozi di lusso, ancora con le serrande abbassate, ancora con la puzza di piscio dei barboni negli angoli e pensava che lui mai avrebbe fatto pipi in quegli angoli, ch e gli sarebbe sembrato anche troppo offensivo urinare sull'angolo di LW o Gucci e ricordare che sua madre un giorno uscendo da uno di questi negozi fu scippata proprio da uno di questi elementi che pisciava sul muro. Fu derubata da uno con l'uccello in mano, che le afferrò la borsa con la mano ancora bagnata del suo piscio e scappo con la patta aperta, per nascondersi in un buco. Uno di quei buchi, dove ora Jack dormiva, dove mangiava e vedeva la vita che passava. Ma lui non urina sui muri e non scippa le ricche signore che escono dai negozi di lusso della via San Raphael.

Jennifer era una ragazzina con i capelli biondi e gli occhi come la giada. Incontro Jack alla fermata dell'autobus per la scuola. In una giornata come tante in mezzo a persone come tante e con quel cazzo di freddo come in tanti giorni ci si poteva trovare da quelle parti. Si notarono subito, non era difficile, lei risplendeva come il sole nel suo cappotto viola, e lui, in quel vistoso completo scacchi che sua madre le aveva regalato per natale, non si potevano mimetizzare fra le facce spente e smunte dei ragazzini per bene del quartiere.
Era il primo giorno di scuola, l'autunno era alle porte e il vento da nord spazzava le foglie degli alberi colorando quella cupa città di rosso verde e marrone, gli stessi colori di quel ridicolo blazer di Jack.
"Hai una scarpa slacciata" disse con dolcezza Jennifer a Jack. Lui la guardò e con quegli occhioni sbattendo le lunghe ciglia scure e la osservò senza dire nulla, come se guardasse latabella degli orari del treno. La scrutò e la rimirò in tutta la sua minuta bellezza. "C'hai la scarpa slacciata ciccio" si spazzienti lei. indicando con la mano il terreno. Lui non si mosse, face solamente un cenno con il mento per far segno che aveva capito, ma non mosse lo sguardo dal viso di lei. Lui provava a guardare giù, ci provava, si sforzava, ma non si muoveva nulla, riusciva solo a guardarla e rimirarla, con un sorriso ebete e quel ronzio fastidioso di fondo delle voci di chi attorno a lui chiacchierava del più e del meno.
Poi la luce si spense. Lei le afferrò il braccio e lo scosse. Il contatto della sua mano con il suo braccio provoco a Jack uno stano blackout oculare. Rimase in primo piano la bocca di lei e le vibrazioni di "panico" di Jack. Lo scosse ancora più forte e disse "ciccio, sei autistico? Svegliati che è mattina il sole è alto e stiamo arrivando a scuola"
Jack era incapace di muoversi e sentiva la stretta della mano di Jennifer sul braccio come il morso di un cane. I denti che si conficcavano nella carne, ma senza dolore. L a sensazione di essere afferrato e trascinato via. Il tram frenò bruscamente e il contatto si interruppe come si toglie la corrente a una pista di macchinino, quella pista che Jack aveva ricevuto da babbo natale.

Si babbo natale. Camminava per strada in contro a Jack per la corso Marx. Era lurido sporco con la barba nera e gli stivali bucati. Era sicuramente uno sbandato che aveva rubato il vestito alla chiesa della carità dell'angolo. Barcollava e tutto sembrava fuori che una figura natalizia. Come avrebbe potuto quel grasso e grosso pezzo di merda scendere dal camino di qualsiasi casa.
Jack lo osservo sfilargli accanto e senti lo stesso odore che aveva sentito poco fa all'angolo del negozio, misto a un acre puzzo di alcool e candeggina.
In fondo al corso c'è parco hemingway. In quel parco aveva baciato per la prima volta Jennifer se lo ricorda come fosse stato pochi minuti fà. Si pochi minuti fa! Chi l'avrebbe baciato ora, chi avrebbe appoggiato le proprie labbra su quella bocca che ormai aveva solo e solamente leccato sporcizia e fango negli ultimi giorni.
Li jack aveva anche preso la prima lezione di vita.

La mano di Jennifer riacciuffò in fretta il palo del tram per non cadere, la luce tornò negli occhi di Jack e si accorse che aveva una scarpa slacciata.


2.
"non ho mai visto un vestito così brutto" le disse con un sorriso dolcissimo. Jack arrossi e scese dal tram e s'incammino verso l'edificio di mattoni rossi e le finestre verdi con la scritta "St. Paul Father School". Dietro a lui una scia di ragazzini chiassosi chiusi nella loro paura del primo giorno di scuola e appesantiti dai loro borsoni carichi di libri che mai avrebbero letto. In fondo alla fila lei. Lei scalò la fila e raggiunse Jack da dietro, picchetto con le sue dita esili sula sua spalle e tonante come un fulmine a ciel sereno sentenziò "Ma mi stai prendendo per il culo tu?". Jack su blocco facendosi tamponare dalla fila che spinse Jennifer addosso a lui. Si riffò ben fisso sulle gambe spalanco gli occhi e apri la bocca, ma ne usci un idiota sibilante e sicuramente poco sexy "no".
"A menomale" rispose lei "credevo che il figlio del notaio Burton si sentisse troppo superiore per rispondere alla figlia dello spazzacamino Mielchik. Meglio così, buona giornata allora".
Un fulmine una doccia fredda un pugno nello stomaco, avrebbero fatto a Jack meno effetto di quelle parole. Rimase fermo impietrito rosso nella sua stupidità e tremante nella sua ipnosi della sua frase.
Sfilarono tutti quei bambini a fianco a Jack e lui sentiva ogni commento ogni parola ogni odore di merendina di metà mattina, ma non immagazzinava nulla, nessun odore nessuna parola nessun commento.
Si fermo accanto a lui in piccolo ometto con il basco verde e delle grandi e grosse scarpe marroni. Jack abbassò lo sguardo e vide quei grossi occhi neri che lo guardavano. "Che c'è?" esclamò Jack. "Nulla", rispose lui. "Guadavo solo che grossa figura di merda che hai fatto con Jenny, e mi chiedevo se fossi veramente fesso così di natura o se il primo giorno di scuola ti preoccupasse così tanto da rincoglionirti così". "Hua…parole grosse per un piccoletto così" tonò Jack dal suo metro e uno sputo. "No, sei decisamente normale. Piacere Renzo". Renzo era il figlio del panettiere, un emigrato italiano che si era perfettamente integrato nella comunità e che aveva fatto i soldi con la vendita di brioches agli angoli di strada, per poi aprirsi un piccolo impero della farina lavorata. Il pane della familia Schiavo, era il più buono e ricercato della città.
"Renzo Schiavo per servirla" bisbiglio quel piccolo soldo di cacio. "Tutti mi prendono in giro quando mi presento così, perché servo essendo schiavo" e scoppio in una ridicola risata stridula che si addiceva alle sue dimensioni. Jack sorrise allungo la mano sfilandosi il guanto e la porse. Renzo la guarò e la strinse forte per far capire che lui era si piccolo ma dentro era grande. Si capirono al volo, e capirono di aver trovato qualche cosa di importante alle porte di quell'edificio dai mattoni rossi e le finestre verdi.

Parco hemingway ormai era diventato un di quei posti infrequentabili, pieno di brutta gente, cani senza padrone e la vegetazione ormai non era più tenuta dal comune da anni. Jack ci si infilò come si entra a casa propria, con disinvoltura e familiarità senza badare al carrello rovesciato della spesa alle cartaccie e alle frasche in mezzo al sentiero. Punto sicuro verso la panchina verde in mezzo alla piazzola. Li era sdraiato il solito barbone, uno di quelli che si strappava la monnezza di mano con lui. si avvicino sbattendo i piedi per farsi sentire. Il barbone si girò e vedendo la figura di Jack scattò in piedi togliendosi di colpo facendo gesti di reverenza e camminando all'indietro se ne andò. Jack avevà un certo rispetto nell'ambito dei barboni, se l'era guadagnato a forza di pugnni sputi e per il suo passato di cui lui non va sicuramente fiero, ma gli permette di avere questi piccoli benefit.
La sua notorietà non è solo nell'ambito dei barboni, ma anche in quello della polizia, dove è rinomato come il "bastardo". simpatico nomignolo per chi ha dato 10 anni della sua cazzo di vita per la divisa dello stato. Ma se lo merita e si meriterebbe anche altro, se solo sapessero cos'ha fatto per Jannifer.
Si sdraiò sulla panchina riscaldata dal precedente avventore, e guardo lontano giù fuori dal cancello verso corso Marx, mentre il sole sorgeva e le serrande si alzavano. Adorava quel momento della giornata quando tutto si fermava per un momento nella luce del mattino e i suoi ricordi si facevano meno pensanti e meno importanti dentro il rumore della città che si avviava nella giornata che lui non avrebbe mai vissuto come avrebbe voluto e come qualcun'altra vivrà per lui.

Jack entrò in classe e si guardò attorno, tutti erano in piedi tutti consapevoli che quel momento era fondamentale per il proseguo della vita scolastica. La scelta del posto a sedere. Chi mettersi accanto, dove mettersi, non tropo in avanti altrimenti sei uno secchione, non tropo in dietro, altrimenti sei un delinquente per la maestra. Non metterti vicino lo sfigato di turno, altrimenti prendi la nomea dello sfigato anche tu. Un giocco di scacchi e di sguardi, come nel gioco della sedia. Chi si siede per primo chi per ultimo e chi rimane senza la sedia… Da dietro Renzo spintona Jack ed entra in classe e va diretto e diritto veso un posto e si siete in mezzo allo stupore di, apre la borsetta rossa di pelle e sfila il suo quaderno a quadretti con la copertina verde e la matita bicolore, appoggia i gomiti al tavolino e sorridendo strizza l'occhio a jack e fa un cenno con la zucca grossa con ancora il cappello in testa. "Vieni qui compare, che la giornata è già iniziata di merda per te". Jack si avvicino a grandi falcate al banchetto accanto a Renzo, e si chiese se quel piccolo ometto dei grandi occhi fosse un folletto venuto dal nulla o semplicemente la facilità fatta persona.
La classe, vista la mossa della torre di Renzo si mosse come se avesse tolto il perno di freno di un grosso ingranaggio e tutti i denti delle ruote cominciarono a scricchiolare uno dentro l'altro, i posti si riempirono i giochi si stavano compiendo e renzo e Jack avevano fatto questo, avevano mosso l'ingranaggio attorno a loro. Cosa era successo in quei 2 secondi fra la spallata di Renzo e il moviemtno del mondo attorno? Cosa il battito delle ali di Jack e Renzo aveva messo in moto? Carrozza piena posti a sedere coperti, treno in movimento! Senti questa voce nella mente e scese il silenzio, quando l'ultimo sedere coprì l'ultima sedia libera. Jennifer. Jennifer dov'è, perché non l'ho vista. Sarà in un'altra stanza in un'altra classe. Si girò di scatto sentendo le ossa del collo scricchiolare dalla tensione di quei minuti, cercò il cappotto viola la chioma bionda, ma non la vide. Cazzo no, l'ho già persa di vista. Ma che sfigato, ho ancora i segni dei suoi "denti" sul braccio e non la vedrò più. No no e poi no non voglio non posso non voglio, si urlo addosso, facendo un ghigno con la bocca. Renzo lo scosse e lo apostrofò, come se avesse sentito le sue urla "cretino guarda che Jenny e li davanti come tutele brave bambine, in prima fila". Spalancò gli occhi tese i glutei alzandosi sulla sedia per vedere più lontano e vide il cappotto viola sulla sedia d'angolo e i capelli raccolti in un piccolo ciuffetto tenuto assieme da una matita gialla su quella testolina in prima fila.

Ti odio sole, ti odio maledetto, perché non sali meno velocemente e mi lasci godere questo momento ancora per un po', ti odio sei tanto bello quanto stronzo. Così penso Jack quando il sole illumino a pieno il corso bagnato dalle pompe dei netturbini. Non voleva staccarsi da quell'immagine da quel momento da quel piccolo dipinto simil Van Gogh, che gli ricordava tanto Stoccarda quando con Jennifer dormittero sul lungo lago perché non avevano voglia di tornare in hotel. Li avevano fatto l'amore come se nessuno passasse di li e non notasse la coperta che si muoveva. Come sotto quella coperta ci fosse solo il loro mondo e finisse li, come le fuori non passassero podisti distratti dello sforzo o coppiette imbarazzate e incuriosite o come se la luce dei lampioni non esistesse perché tutto si spegneva attorno quando erano assieme.
Si alzò velocemente dalla panchina rimise in spalla la sua borsa e attraversò tutto il parco come se volasse sopra i vetri delle bottiglie rotte e le foglie marce e usci nella piazza del comune, dove l'aspettava il caldarrostaro che accendeva il fuoco sotto il bidone ormai nero dai giorni passati a scaldare persone e castagne. "Ho perso la via" si sente dire, " ho perso la via di dove dovevo andare e ora sono qui a fare caldarroste a sti quattro minchioni". Jack lo guarda e sorride, è quella di tutte le mattine stupido ciccione è quella di tutte le mattine.
Jack imbocca il vicolo dietro al Comune e si siete con già stanco, forse perché non ha fatto colazione e nemmeno cena ieri sera e forse pranzo, e non ricorda nemmeno quando ha mngiato l'ultima volta. Come mi sono ridotto così? Si getta seduto a terra con le mani fra i capelli sporchi e lunghi e pensa che è così perché quel giorno non ha scelto di scappare ma di rimanere li vicino alla sua Jennifer.

Entra la maestra e si presenta come si fa con le persone adulte. Ci da del lei, facendoci così sentire delle persone importanti. Ci spiega che tutti ci meritiamo rispetto fino a prova contraria e che per lei siamo tutti uguali e ci consegna dei sacchettini con dentro 100 soldini di legno. "Ma sono le pedine della tombola maestra", esclama un bambino dal fondo della classe. "Si lo sono ma per voi sono il vostro bagaglio di vita nei miei confronti, dovrete gestirlo e spenderlo come più vi pare, scambiarlo o perderlo nei miei confronti". Sono cose da grandi pensò Jack, sono cose che noi bambini non sappiamo gestire, che non sappiamo cosa significano. Jennifer apre il sacchettino e gioca un po con i soldini di legno. Cosa penserà quale sarà la sensazione delle sue mani su quei soldini di legno, sognava Jack. "ehi pillotto" disse Renzo, sgomitandolo. Che pensi di farci con quei soldini, "comperarci un regalo per la biondina?". L'idea non era malvagia, ma erano soldi di legno, cosa poteva comperare? Una rosa di legno? un anello di legno? una casa di legno? Era un gioco per responsabilizzare i bambini